La chiesetta di Sant'Anna racconta le vicende storico-edilizie del luogo dove è nata la Diocesi Aprutina, verosimilmente quella più antica nella nostra terra abruzzese. Al suo interno, un occhio attento potrà cogliere aspetti edilizi e artistici che hanno caratterizzato le vicende storiche e architettoniche dell'intero complesso religioso dell'antica Cattedrale S. Maria Aprutiensis, dalle origini fino ai giorni nostri. Ci troviamo di fronte a un monumento pluristratificato, forse ancora da esplorare e capire appieno, che racconta la storia delle origini della prima cristianità nella città romana di Interamnia Praetut(t)iorum e della Diocesi in quella tardo-antica di Aprutium, di Teramum, fino all'odierna Teramo.
Si ha conoscenza dell'esistenza di una comunità cristiana a Interamnia già alla fine del II secolo, sotto Papa Eleuterio, e forse non è un caso che fosse intitolata a San Getulio, prima di essere riadattata nel Settecento a cappella privata della benestante famiglia de' Pompetti e dedicata a Sant'Anna. San Getulio è un santo protomartire della vicina area sabina che fu martirizzato sotto l'imperatore Adriano tra il 117 e il 138. I documenti più antichi che attestano la sede vescovile nella Teramo tardo-antica, Castrum Aprutiense, sono tre lettere di Papa Gregorio Magno scritte tra il 598 e il 601. La prima attestazione dell'intitolazione alla Vergine della Cattedrale di Aprutium, S. Maria Aprutiensis, è riportata in un documento dell'897 del Cartulario della chiesa teramana. La cattedrale fu quasi completamente distrutta nell'incendio normanno del 1157 (o 1156) ad opera del conte Roberto di Loretello.
Il primo storico e ricercatore a porsi il problema della comprensione delle fasi costruttive a noi pervenute è stato l'archeologo teramano Francesco Savini, con la pubblicazione delle sue ricerche archeologiche nel 1898. Lo storico dell'architettura Carlo Ignazio Gavini, nella sua celebre Storia dell'architettura in Abruzzo del 1926, rimane a tutt'oggi il più lucido interprete dei fatti edilizi e architettonici che si possono osservare in situ, al di là degli esiti degli scavi degli anni Ottanta del secolo scorso.
Il visitatore, scendendo le scalette di accesso alla piccola chiesa, sarà subito sorpreso dall'evidente contrasto tra l'estrema semplicità del corpo edilizio esterno, quasi una chiesetta rurale, e la possente strutturazione dell'architettura interna. Un osservatore attento si renderà subito conto che l'atto di scendere per entrare, su livelli pavimentali più bassi che coincidono con quelli della basilica paleocristiana rinvenuta all'esterno, significa fare un salto nella storia del luogo, osservare fatti edilizi che, seppur diversi e separati, sono strettamente correlati e interdipendenti.
L'interno è scandito dalla successione di tre campate con andamento sud-est/nord-ovest, coincidente con una sezione trasversa delle navate della primitiva basilica, i cui resti in continuità sono stati riportati alla luce all'esterno negli scavi degli anni Ottanta. La campata centrale con volta laterizia a crociera, su possenti pilastri a fascio con semplici capitelli lapidei a volute, incornicia e monumentalizza, sul lato di nord-ovest, un triforio su colonne monolitiche di marmo bianco con capitelli corinzi. La tecnica costruttiva, i materiali impiegati, il reimpiego di colonne di epoca romana ricondurrebbero alla primitiva basilica paleocristiana del VI secolo, i cui resti sono visibili all'esterno. Quella che oggi ci appare come una piccola chiesa, dunque, sembra possa connotarsi come un intervento di protezione e monumentalizzazione dei resti più antichi della cristianità aprutina in un complesso religioso molto più articolato, collegato direttamente all'episcopio e alla contigua "torre bruciata": una sorta di portico, dunque, di vestibolo, con accesso dall'attuale Via dell'Antica Cattedrale, in seguito murato con una tecnica costruttiva assai grossolana. Dall'esterno si notano perfettamente le tre arcate del portico tamponate successivamente, con una tecnica costruttiva assai diversa, in occasione della trasformazione a chiesa di San Getulio, poi a cappella dedicata a Sant'Anna dei de' Pompetti. Tipologia, tecnica costruttiva e caratteri stilistici degli elementi architettonici e dei lacerti di affresco riconducono a modelli culturali del romanico cosiddetto lombardo di XI-XII secolo. Al visitatore non sfuggirà il lacerto di affresco bizantineggiante nel sottarco della campata centrale, con due angeli in volo che reggono un clipeo con la mano dell'Eterno nell'atto di benedire. Sempre all'interno è possibile osservare, attraverso lastre di vetro opportunamente installate sul pavimento, elementi architettonici e scultorei del primitivo complesso reimpiegati nelle fondamenta e gli scavi di Francesco Savini, con i resti di pavimentazione a mosaico di una domus contigua a quella visitabile nell'area archeologica allestita all'esterno. Nella campata centrale, sotto il triforio colonnato, sono stati murati gli elementi architettonici altomedievali più significativi, rinvenuti alla fine dell'Ottocento. Nella terza e ultima campata di questo ambiente tripartito, che a un certo punto della storia diventava area presbiteriale per le funzioni liturgiche, troneggia al centro della parete di fondo, quella della contigua "torre bruciata", un affresco quattrocentesco di scuola locale raffigurante la Madonna che allatta tra Santa Apollonia e Santa Lucia, aggiunte in un secondo momento. È in questo luogo che furono custodite le spoglie del Santo Patrono San Berardo, miracolosamente scampate all'incendio.